22/09/07

VENT'ANNI FA


Capita talvolta nella vita, nel libero gioco dei casi o per singolari circostanze, di partecipare in prima persona, sia pure in veste di semplice spettatore, ad eventi la cui portata è destinata ad incidere profondamente nel tessuto delle conoscenze storiche del proprio luogo di origine.
Un fatto certamente indicativo ed anche indimenticabile è costituito dall’aver potuto presenziare al rinvenimento degli ormai noti reperti archeologici, attribuiti all’Età del ferro, nella piana di Sottopedonda alla periferia di Tesero, il 23 settembre 1987. L’importanza dell’evento va ben al di là dell’emozione e della curiosità che il fatto naturalmente suscita. Essa si estende e compenetra gli stessi fondamenti storici sull’origine di Tesero, almeno nella forma che fu finora comunemente accettata. Solo taluni studiosi di valore ipotizzarono in passato una genesi diversa e le recenti scoperte archeologiche sembrano dar loro ragione.
L’espansione edilizia nella località di Sottopedonda, iniziata avanti un decennio, se ha intaccato l’agreste pace di quel luogo solatio, si configura, ciò malgrado, come la molla che ha originato per altro verso gli inattesi rinvenimenti dei reperti di epoche preistoriche verificatisi nel corso degli sbancamenti per le fondazioni degli edifici. Proviamo tuttavia una vaga ripulsa ad accettare il nuovo ruolo urbano impresso alla località e la mente torna volentieri alle impressioni della nostra giovinezza quando la plaga era intensamente coltivata; tanti piccoli appezzamenti, una specie di mosaico su cui si alternavano le coltivazioni di patate, di frumento, di granoturco. Poi i vecchi carri trainati dalle vacche che trasportavano a casa il raccolto dovendo affrontare la ripida salita; l’incedere lento e le frequenti soste per non affaticare gli animali, utilizzando per l’occasione i provvidenziali avvallamenti offerti dalle cunette trasversali praticate per lo scolo delle acque piovane. Le ruote anteriori nella fossetta mentre le posteriori venivano staffate facendo uso delle pietre sempre presenti al margine della via. E così si procedeva sino alla maestosa “nogàra del Bocia” verso il termine della salita, che a quel tempo si spingeva fino al livello di Pedonda. E ancora, con l’avanzare del crepuscolo, transitati anche gli ultimi attardati agricoltori con i loro carichi, la campagna rimaneva sola, immersa nella notte fonda in raccolto silenzio.
Ma ecco che immancabilmente pochi minuti dopo lo scoccare della mezzanotte la piana era attraversata da un calpestio indefinito come di fantasma che la percorresse guardingo. Chi sarà mai? Forse una manifestazione dei “segnàoli”: gli spiriti burleschi che, secondo una credenza popolare un tempo assai radicata, dimoravano nelle soffitte e nei luoghi bui e segnalavano la loro presenza con sinistri scricchiolii, strascichi di catene, soffi e gemiti? oppure gli spiriti degli antichi abitatori di Sottopedonda la cui presenza era allora ignota ma che troverà più tardi puntuale conferma e documentazione nei reperti archeologici? naturalmente nulla di tutto ciò. Quel fantasma era un uomo vero in carne ed ossa. Era il sorvegliante della centrale elettrica comunale che si stava recando a prendere servizio alle macchine nell’ora del cambio turno. Raramente portava appresso una lampada; egli conosceva la via come le sue tasche. Talvolta nei mesi autunnali dava una capatina alla vicina vasca di carico per la pulizia della griglia. Per far ciò doveva rimontare il primo gradone passando accanto, ignaro e inconsapevole, alle memorie degli antichi che vi giacevano sepolte da tempo immemorabile.
Le prime luci dell’alba vincevano la notte che si dileguava con i suoi enigmi. Ma essa costituiva pur sempre una simbolica figura della lunga, lunghissima notte che, fuori di metafora, separa la nostra generazione dagli abitatori preistorici della piana di Sottopedonda. Due millenni ed oltre, il cui mistero si è in parte diradato all’inizio del decennio appena trascorso e, più ampiamente, nel 1987 in una calda giornata di settembre.



Tratto da “TESERO NELLA PREISTORIA” di Mariano Delladio

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