04/08/07

CONTROCANTO


Al calar della sera, di un qualunque sabato di agosto, tra le case, si espande quasi impercettibilmente uno strano indefinibile odore che non sa né di erba appena tagliata, né di terra, né di letame. È un odore moderno, forse è odore di plastica. C’è un vociare di fondo; maschere variopinte e senz’anima si aggirano per le vie troppo illuminate, nel vano tentativo di riesumare un antico passato sepolto. È l’esercizio insistito e ostinatamente ripetuto di una comunità finta, conformista, diventata ricca e tronfia. Che ha sacrificato, sul presuntuoso altare del “benessere”, giorno dopo giorno, da tempo ormai lontano, proprio quel territorio di cui oggi (solo oggi, in questa sera d’agosto) ne esalta la vita e i suoi frutti faticosi. Sappiamo che il fine autentico di ogni manifestazione rievocativa celebrata in una località turistica non è quello di ripristinare momentaneamente quel filo ormai spezzato col passato, per l’intima e imprescindibile necessità di confermare la propria identità. La vera ragione di tutta questo frenetico riproporre è soltanto quella di far vedere “agli altri” - ma non gratuitamente, beninteso – ciò che quella comunità nel suo profondo più recondito presume ancora d’essere (ma che da tempo invece non è più). Senza alcun sentimento di nostalgia autentica e dolorosa per una perdita irrimediabile. E questo lo si percepisce benissimo standoci dentro. Non se ne accorge il turista, né il curioso passante occasionale, ma chi quel tempo lo ha potuto assaporare e vivere, coglie benissimo tutta la finzione e l’insensibilità che dietro questa messinscena evocativa si nasconde.
Ed è massimamente intollerabile, per quanti credono ancora nei valori di quel passato, dover “subire la lezione” da chi di quel tempo non è affatto maestro e che, passata la festa, lo rinnega nei fatti per i rimanenti 364 giorni dell’anno. Da chi per le strade di quel luogo non cammina più a piedi, da chi non rispetta più il silenzio, da chi odia i ritmi lenti della natura, da chi detesta il profumo dei tigli, da chi ignora quanta cura abbisogni un coltivo in campagna, da chi non conosce il difficile uso della falce, da chi non sa quanto costi fatica il più piccolo orto, perché ad esso, davanti alla casa, preferisce “godersi” un pulito, asettico e ben rasato praticello all’inglese.
Questa è la vera ragione di tanto posticcio rievocare. Un pretesto per aggiungere denaro al denaro. Per “promuovere”, ancora una volta – l’ennesima – un territorio che viceversa avrebbe soltanto un urgente bisogno di tranquillità e di rispetto. Semplicemente questo.


L'Orco

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